Quest'anno
in ogni parte del mondo con vari festival ed appuntamenti si sono
festeggiati i 50 anni della videoarte. La data dei primi esperimenti
su dei televisori, come tutti ben sappiamo, risale intorno al 1963,
anno in cui poi si realizza a Wuppertal in Germania la mostra
Exposition
of Music – Electronic television
che verrà considerata la prima esposizione di videoarte. Ma dopo
mezzo secolo è ancora appropriato utilizzare questo termine? Forse
non lo era neppure all'inizio, visto che le prime opere sia di Paik
che di Wostell erano puri esperimenti sul mezzo che trasmetteva
video, ma non in realtà dei video veri e propri. Quelli arrivarono
successivamente due anni dopo quando Paik compra a New York la prima
telecamera portatile della Sony e espone la sua prima opera video.
Nel corso del tempo la videoarte ha visto la nascita di molte
esperienze collaterali che pur sempre partivano dal video ma
con risultati molti diversi fra loro: videosculture, videoambienti,
videoinstallazioni, installazioni interattive, teatro, performance,
happening, videopoesie, videoclip, machinima, realtà virtuali. Molti
ancora si interrogano cos'è la videoarte. La spiegazione con
l'avvento della rete e delle nuove tecnologie digitali, per certi
aspetti può essere più semplice perchè grazie alla diffusione
sempre più ampia e più economicamente abbordabile dei mezzi per
realizzare un video ogni giorno si parla sempre di più anche sugli
abituali mass media di queste apparecchiature che almeno da un punto
di vista puramente ludico sono facili da usare. Ma nonostante le
interfacce siano ogni giorno di più, non c'è che l'imbarazzo della
scelta, ed il numero degli utilizzatori cresca vertiginosamente, per
quanto concerne il concetto di videoarte come opera d'arte, scusate
il gioco di parole, non riesce ancora ad entrare nella mente di chi
si occupa di arte, sia il pubblico che cosìdetti addetti ai lavori
(gallerie, critici etc). Ma allora ci domandiamo: è proprio il nome
che è fuorviante? A 50 anni dalla sua nascita ritengo che la
videoarte debba essere individuata, ma soprattutto interpretata, come
un grande contenitore contemporaneo dove artisti e pubblico si
incontrano per condividere grandi e attualissimi concetti del nostro
tempo, realizzati con ogni mezzo che oggi la tecnologia e perchè no
anche la scienza (si potrebbe fare un lunghissimo elenco di esempi)
mette oggi a disposizione. Forse sarebbe più opportuno parlare, in
molte accademie già lo fanno, di culture digitali, ma penso che si
rischierebbe di andare fuori rotta e dover ricominciare tutto da
capo. Dobbiamo invece portare avanti il concetto di videoarte come un
fenomeno in continuo aggiornamento, l'arte che nel tempo si è
evoluta e trasformata più velocemente di ogni altra forma
artistica. La videoarte è un'espressione che punta l'obbiettivo sul
contemporaneo e lo analizza in primis. Oggi più che mai, dove tutto
non scorre più a chilometri orari, ma a giga bytes la videoarte può
essere il vero grande contenitore della nostra vita per stare al
passo con i tempi. Perchè da sempre si è trattato di un'arte
interattiva dove non può esistere la passività di colui che la
fruisce, il quale dal canto suo devo solo fare un piccolo sforzo per
farsi coinvolgere ed entrare in questo mondo di emozioni.
La seconda
domanda che infatti molto spesso mi viene posta è: “come si
osserva, ma soprattutto come si fa a capire un'opera video?”
Spesso
entrando in una mostra non si ha la stessa predisposizione a
soffermarsi difronte ad uno schermo come invece accade andando al
cinema. E questo diciamo che è un primo scoglio che si può superare
facilmente in quanto la durata di un'opera video difficilmente
raggiunge quella di un film. E' invece importante partire da un altro
aspetto: in un mondo che va sempre più veloce andare a visitare
un'esposizione ci deve servire a fermare il nostro tempo, ad
estraniarci da quello che succede fuori e anzi avvalersi dell'arte
per riuscire a capire meglio la nostra contemporaneità e magari
captare i suggerimenti per migliorarla. Allora quando siamo
all'ingresso di un museo, di una galleria o di qualunque altro spazio
espositivo, facciamo un bel respiro e concentriamoci a ricevere
emozioni. Poi se ci troviamo difronte ad un quadro, ad una scultura o
un video più tempo li dedichiamo e più coglieremo ogni particolare
dell'opera. Come un quadro, anche un video è ricco di particolari,
l'unica differenza è che nell'ultimo caso scorrono, ma spesso sono
più facili da capire di quanto si pensi. In un solo frame si possono
raccogliere e concentrare i messaggi più importanti della nostra
vita, basta solo osservarli per capire.
Terza è
ultima domanda: “ma il video ha un mercato?”
Forse la
risposta più sincera ahimè è “NO”. Sono pochi gli artisti al
mondo entrati a far parte del grande mercato dell'arte e la maggior
parte delle volte anche i grandi nomi più che fare della propria
opera un pezzo da vendere, hanno avuto invece delle commissioni per
realizzarla. Per anni le gallerie hanno venduto i video a prezzi
improponibili che hanno contribuito ad emarginare quest'arte.
Nell'era digitale ritengo che la soluzione migliore sia quella di
creare un circuito di diffusione delle video opere tale e quale a
quello della musica e dei film in dvd. Tutto questo garantirebbe
sicuramente una maggiore divulgazione delle opere e magari un sicuro
introito agli artisti. Ma allora si potrebbe ancora abbiettare: “e
se un collezionista volesse qualcosa di unico?”. Penso che anche in
questo caso la soluzione sarebbe semplice: l'artista potrebbe
allegare al dvd, una stampa di un frame del video, numerarla ed
autografarla. L'importante è continuare a far vivere la videoarte,
incentivare la produzione e contribuire alla sua diffusione in
gallerie, musei, scuole, università e ogni tipo di spazio pubblico e
privato. Perchè la videoarte è un'arte di tutti.
Maurizio
Marco Tozzi